Giugno 1991, Costa Azzurra. La aspettavano per cena nella villa della signora Koster, sulle alture di Mougins. Invece Ghislaine non si è presentata. L'indomani, i vicini di casa trovano il corpo dell'anziana signora – Ghislaine Marchal, ricca vedova di un industriale e sorella di un famoso legale che lavora nell'avvocatura del Ministero della Giustizia – con la testa fracassata da una trave di legno, nella cave à vin della sua villa.
Nella cantina c'è una porta bianca. Sulla porta è stata tracciata una scritta rossa. L'ha vergata un dito sporco di sangue. Dice: «M'a ucisa Omar» (Omar m'a tuer). Poco sotto un'altra scritta, ma interrotta: «Mi ha uc...». Arriva la polizia. Chi è Omar? Tra i vicini si fa avanti la signora Pascal: Omar è il giardiniere marocchino. È venuto il 23 giugno a lavorare nella villa della signora Pascal. Il 24 giugno Ghislaine è stata uccisa. Il 25 giugno il sospettato è rintracciato a Toulon, arrestato e messo in garde à vue.
Inizia il processo. Per l'accusa le prove sono schiaccianti: dall'Aldilà un dito insaguinato, quello di Ghislaine, fa il nome del proprio assassino, Omar Raddad. Un tipo strano che ha problemi di ludopatia ed è costantemente in bolletta. Eppure qualcosa non quadra. La difesa mette sul tavolo i propri elementi: nessuna impronta digitale sulla scena dell'omicidio, nessuna traccia di sangue rilevata durante l'autopsia sulle dita di Ghislaine (il cui corpo è stato cremato il giorno dopo l'autopsia stessa).
E poi c'è un quella scritta accusatoria. Che non torna per niente: «Omar m'a ucisa». Una ricca signora che fa errori grossolani... Altra pista: la donna di servizio di Ghislaine era stata sospettata di piccoli furti. E quella donna di servizio ha un amante, noto nella zona come Pierino il Pazzo (Pierrot le Fou): il signore ha un alibi? No. E se fosse stato lui a uccidere Ghislaine, per poi accusare Omar e depistare le indagini?
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