Cose che riguardano l'Italia

Oh, sì

Voterò sì per tre ragioni: la prima relativa al merito della riforma, la seconda relativa alle sue conseguenze politiche, la terza relativa al modo in cui una parte cospicua dei fautori del no ha difeso il suo punto di vista.

 

1. Nel merito, la riforma mira soprattutto a rafforzare il potere del governo e quello dello Stato centrale nei suoi rapporti con gli enti locali. Trovo giustissimo questo orientamento. I lamenti sulla deriva autoritaria e sull’uomo solo al comando riflettono a mio avviso l’idea puerile, molto diffusa soprattutto a sinistra, che il potere sia una cosa in sé negativa, e che per stemperare questa ontologica negatività sia bene imbrigliarlo, renderlo inoperante dando al maggior numero possibile di persone o enti il maggior numero possibile di chances d’intralciare il suo esercizio. Io mi vedo intorno di continuo – nella vita quotidiana, nell’università – i disastri che questo modo di pensare porta con sé: lentezza nelle decisioni, contiguità tra controllati e controllori, irresponsabilità, trasformismo. C’è una pagina di Nero su nero in cui Sciascia fa l’elogio di Giuseppe Lanza duca di Camastra (1630-1708), il legato del re di Napoli che salvò Catania dal caos dopo il terremoto del 1693: «E si può ricordare un uomo simile, in tempi in cui godiamo di democrazia, di socialismo e di architetti? E il potere pieno a un uomo solo, poi: quando si sa che il potere bisogna dividerlo, suddividerlo, ridurlo in particole, farne comunione a ciascuno e a tutti. Sicché i terremotati continuino a stare, democraticamente, nelle baracche». Attraverso il feticcio della ‘rappresentatività’ è questa caricatura di democrazia che ci è stata somministrata, questa macchina del consociativismo governata da due camere identiche e da novecentoquarantacinque parlamentari. Benché sia tutt’altro che perfetta, come ogni cosa umana che deriva dal compromesso (un compromesso a cui hanno partecipato anche molti di coloro che oggi, per tatticismo, votano contro), la riforma comincia a correggere queste storture.

2. Quanto alle conseguenze del referendum, voterò sì perché disistimo quasi tutte le forze politiche schierate dalla parte del no, e non vorrei che per loro il 5 dicembre fosse un giorno di festa, e men che meno che, nel breve o medio periodo, andassero al governo. Ho sempre trovato penoso, più che pericoloso, Silvio Berlusconi, e continuo a trovarlo tale: solo peggiorato, solo ancora meno lucido, per la malattia e per l’età. Ho seguìto con mente aperta, credo, i primi passi del Movimento 5 Stelle, e ne ho scritto su Internazionale. Ma nei tre anni successivi a quell’articolo ciò che i membri del Movimento hanno detto, scritto e fatto mi ha prima sorpreso, poi irritato, e ora francamente mi spaventa (un sentimento che non credevo di poter provare, nella mia vita di italiano: paura della seconda forza politica del mio Paese). Ora penso che il Movimento 5 Stelle – nel suo complesso, cioè prescindendo dalla buona fede e dal disinteresse di molti suoi militanti – sia stato e sia una sciagura non solo per la vita politica italiana ma per la vita italiana tout court. Infine, salvo poche eccezioni (Cuperlo), ho ormai poca stima anche della minoranza del PD contraria alla riforma. Ho partecipato a suo tempo, molto discretamente, alla campagna elettorale per Bersani, e l’ho votato. Ma dopo che Renzi (che non ho votato) ha vinto le primarie del 2013 ho assistito con stupefazione a un tentativo di logoramento continuo, spesso poco motivato o motivato male: da prese di posizione ideologiche, da un patetico senso di superiorità morale, ma in fondo soprattutto dal desiderio di riprendersi il potere.

3. Infine, voto sì perché una parte dei fautori del no ha trasformato questa sua scelta – in una questione che a me pare eminentemente pratica – in una battaglia ideologica intorno ai fondamenti della democrazia, alla fedeltà al mandato dei padri costituenti, alla difesa della Costituzione antifascista, alla lotta contro il Capitale. È la posizione che ha prodotto capolavori d’idiozia come «la Costituzione è l’equivalente laico di un testo sacro, quindi non va toccata neanche una virgola». Per molte persone è difficile vivere senza una Causa. A me invece piacciono quelli che senza una Causa vivono benissimo, soprattutto se non sono più adolescenti, e soprattutto se si tratta di cause così chiaramente fuori dalla realtà. Il male più grande dell’Italia non è né il bicameralismo paritario né il CNEL: è la retorica, «la retorica che ci rode le ossa» (Pasquale Villari, 1866), e che – per una sproposita opinione di noi stessi e delle nostre idee – ci fa assumere pose eroiche quando sarebbe tanto più saggio valutare serenamente i pro e i contro. Il referendum di domenica potrebbe essere l’occasione per scrollarcene di dosso almeno un po’, di questa retorica secolare; ma non sono ottimista.

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