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Su Radio Deejay

Terzo estratto dalla raccolta «Una sterminata domenica. Saggi sul paese che amo», appena uscita per Il Mulino (vedi qualche post più sotto gli estratti dai saggi su Fantozzi e su CL).

All’inizio di Qualcuno con cui giocare Linus si guarda allo specchio e vede suo padre, e la cosa non gli fa piacere: «Ogni giorno che passava ero sempre più lui». Da quand’è che invecchiare è diventato così difficile? È sempre stato brutto, si capisce, e anzi anche molto più brutto: basta pensare a tutti quegli orribili vecchi di quarant’anni che si vedono nelle foto di cent’anni fa. Ed è stato anche difficile nel senso di ‘statisticamente difficile’, perché spesso si moriva prima di invecchiare. Ma difficile nel senso di duro, complicato, psicologicamente e non solo fisicamente doloroso? Perché è alla psiche, non al corpo, che pensano i Rolling Stones (Mother’s Little Helper) quando cantano «what a drag it is getting old». E soprattutto: quando ha cominciato a diventare ovvia l’idea che bisogna lottare contro l’invecchiamento, e dunque che non ci si può rilassare, ingrassare, lasciarsi andare?

Da quando? Mese più mese meno, dall’anno del disco che contiene Mother’s Little Helper: Aftermath, 1966. Da quando cioè il benessere, la musica, i film, la moda, i preservativi, la secolarizzazione, l’urbanizzazione, l’America, la droga hanno fatto diventare la giovinezza qualcosa di davvero divertente; e da quando l’alimentazione, la medicina, la cosmesi, la droga (sempre lei) hanno convinto tutti che la giovinezza non è un periodo della vita ma uno stato, uno stato che può durare anche decenni, ovviamente per quelli che se lo possono permettere. Solo che, come dice Rilke, il bello non è che il terribile al suo inizio.

Questa lunghissima giovinezza ha finito infatti per diventare l’unica età della vita degna di essere vissuta, e il resto è fiato sprecato. Perciò bisogna allungarla fino all’inverosimile, fino al patetico. È dura per tutti, ma è chiaro che per gli abitanti della società dello spettacolo può essere l’inferno. E soprattutto per le abitanti: attrici, cantanti, starlet della televisione. È per questo che molte, semplicemente, spariscono. Se ne vanno all’estero, si chiudono in casa per evitare che la gente possa vedere come sono invecchiate: il che, dato che non c’è cosa più naturale, dovrebbe far riflettere su che razza di assurde macchine di tortura ci stiamo costruendo – riflessione inutile, dato che la macchina, in realtà, si costruisce da sé.

Chi non può o non vuole nascondersi soffre. Una delle cose che rendono interessanti le ultime canzoni di Vasco Rossi è che Vasco Rossi adopera il genere giovane facile allegro che è, fondamentalmente, la canzone per scrivere delle elegie sugli anni che passano e su quanto questo sia atroce in generale e in particolare per un tipo come lui che era abituato a vivere la vita di Siamo solo noi. Canzoni come E adesso che tocca a me, Señorita, Non sopporto, Gli angeli, Sto pensando a te, Il mondo che vorrei parlano di questo, e spezzano il cuore.

Le medicine contro la vecchiaia sono due. La prima è cercare di non diventare vecchi e cioè, dato che non si può fermare il tempo, rallentare il decadimento fisico. In ordine di alienazione: sport, palestra, trucco, chirurgia estetica. La seconda è fare un mucchio di soldi e regalarsi dei lussi compensativi. Quanto a Vasco Rossi, direi che per lui hanno poca attrattiva tutt’e due i rimedi. Non è un fan del fitness come altri suoi colleghi più o meno coetanei, e buon per lui. E a giudicare dai testi delle ultime canzoni non è uno che ami godersi i miliardi su una spiaggia tropicale sottobraccio a un paio di ragazzine. Se lo fa, se lo fa senza problemi, è riuscito a separare la sua vita spensierata dalla sua arte tragica con una nettezza che ha del diabolico.

Linus non ha e non credo abbia mai avuto un lato selvaggio. Era troppo serio, troppo concentrato sullo scopo. A rivederlo, ha l’aria di un ragioniere anche quando presenta i video di Deejay Television, e non aveva ancora trent’anni. E quello che dice di continuo alla radio, e dev’essere vero, è che non se l’è spassata come gli altri deejay, non ha scopato in giro, non ha fatto una vita spericolata. A un ospite che non ha la patente dice: «Tu che parli di macchine? È come se io mi mettessi a parlare di donne!». Ma la paura di invecchiare alla fine ha meno a che fare col modo in cui si è vissuto che col modo in cui si è dentro. Invecchiare vuol dire diventare deboli, vulnerabili, e Linus ha il profilo psicologico di uno che non chiede aiuto: semmai, sentendosi stoico, lo offre. La canzone che lo commuove di più è Sempre per sempre di De Gregori, che nel ritornello dice: «Sempre e per sempre tu / ricordati dovunque sei, se mi cercherai, / sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai». Ed è ovvio che la riferisce a se stesso, e senza ombra di ironia.

Per sua fortuna, la fama di Linus non è quella della rock-star, non è un’esplosione che, per quanto potente sia, non può durare. Linus fa un lavoro, tutti i giorni dalle 10 alle 12, e poi in ufficio fino alla sera. Ed è il direttore artistico della radio, ed è nel CdA di Elemedia, uno di quei posti in cui si sta bene in completo blu, cravatta e capelli bianchi – una mise nella quale però si ostina a non trovarsi bene, un po’ perché è intelligente, un po’ perché è infantile e un po’ per posa: «[il volo Milano-Roma] mi fa sentire sempre a disagio per via dei compagni di viaggio, tutti uomini fra i quaranta, cinquant’anni, scuri in volto, con l’abito grigio e il cellulare acceso fino all’ultimo secondo» (E qualcosa rimane). Uomini fra i quaranta e i cinquanta che probabilmente, arrivati a casa, raccontano ai familiari di aver incontrato Linus sull’aereo.

L’altra strada per non invecchiare, la strada delle persone serie, è lo sport. Così non è strano che, superata la metà della vita, Linus sia diventato uno sportivo. Perché Linus appartiene ad una generazione e, soprattutto, proviene da una classe sociale, il proletariato, che non faceva sport. Fino a non molto tempo fa lo sport, il nome lo spiega a sufficienza, era un’occupazione da gentlemen inglesi. I poveri degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta lo guardavano allo stadio o in TV, ma non lo praticavano. Tra il lavoro e la cura dei figli – non ancora appaltata a tate, gruppi scoutistici, scuole a tempo pieno – avevano poco tempo libero, e quel poco lo spendevano dormendo, o davanti alla TV, o al bar. È soltanto da una decina d’anni che i poveri hanno cominciato non veramente a fare sport ma ad andare in palestra, che è diverso. Spossessati di tutto, e più che altro di un futuro, hanno scoperto di possedere se non altro un corpo, e su quello investono più tempo e più soldi che possono.

Perciò è normale che Linus abbia scoperto lo sport abbastanza tardi, dopo i trent’anni; dopo i trent’anni e dopo che altre cose più importanti erano state sistemate: il lavoro, la moglie, i figli. Dopo i trent’anni si è troppo vecchi per gli sport di squadra, dunque niente calcio, pallacanestro, pallavolo. Il nuoto era escluso perché Linus non sa nuotare: cosa per niente rara, fino ancora a pochi anni fa, tra quelli che erano nati lontano dal mare e non avevano i soldi per andarci d’estate. Dati certi suoi tratti psicologici non mi sarei stupito se avesse praticato qualche arte marziale, una di quelle pulite e ritmate in cui si fa più che altro scena e non si corre il rischio che ti cambino i connotati con un calcio. Invece ha scelto la corsa, anzi la variante estrema della corsa, la maratona: la gara della resistenza, della sfida con se stessi (il maratoneta, se non è un professionista, non corre contro gli altri ma contro il proprio record personale) e, significativamente, della solitudine.

So bene che tutta questa psicanalisi può sembrare un po’ ridicola, ma il fatto è che Deejay chiama Italia non è una fiction, e Linus e Nicola non sono due attori. Se il programma riesce o no dipende da loro, da come stanno, da chi sono e da chi sono sul punto di diventare. Perciò è legittimo domandarsi se questi piccoli difetti – un’abitudine alla fama che diventa bisogno di fama, un rapporto tutt’altro che rilassato col denaro, l’assurdo anche se molto umano desiderio di essere giovane tutta la vita – possano trasformarsi in difetti gravi, e se i difetti gravi possano finire per rendere l’ascolto di Deejay chiama Italia meno piacevole di quanto sia oggi. Risposta: può darsi, ma non ancora […]

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