Pop/Rock

Searching for Sugar Man

[Domenicale del Sole 24 ore, 21 ottobre 2012]

Il mondo prima di internet era una grande sfera di tenebra. Ecco la prova.

La lotta contro l’apartheid in Sudafrica ebbe anche le sue voci pop, e una delle più ascoltate, amate, venerate negli anni Settanta-Ottanta, soprattutto fra i giovani bianchi progressisti, fu quella di un cantante americano di nome Sixto Rodriguez, figlio di immigrati messicani stabilitisi a Detroit negli anni Venti. I suoi due album Cold Fact (1970) e Coming from Reality (1971) non ebbero nessuna fortuna negli Stati Uniti ma, arrivati non si sa come in Sudafrica, vendettero centinaia di migliaia di copie, facendolo diventare famoso come i Beatles e i Rolling Stones: coi quali per altro ha poco da spartire, essendo un cantautore impegnato paragonabile semmai a Dylan, a Neil Young. Per avere la misura di questo successo, ecco il commento a un video di Rodriguez postato su YouTube da pieter13294: «Vivo in Sudafrica e ho conosciuto la musica di Rodriguez grazie a mio padre e ai suoi fratelli. Io e tutti i miei amici, anche se abbiamo tra venti e trent’anni, ascoltiamo ancora Rodriguez tutte le settimane. Abbiamo solo due suoi album (dato che ne ha pubblicati solo due), ma le sue poesie ancora parlano all’anima, e non esagero, se non fosse per la sua musica io forse non sarei qui oggi. Quando sarò morto, i miei nipoti continueranno ad ascoltare questa musica». Ora, commenti del genere si possono trovare sotto qualsiasi video, c’è sempre il fan spiritato che perde il controllo, solo che questo è – fate la prova – il tono medio dei commenti sudafricani ai video di Rodriguez: l’uomo era davvero una leggenda.

Poi, la tragedia. Per motivi misteriosi, Rodriguez si uccise, e per farlo scelse un momento topico: si diede fuoco alla fine di un concerto. Oppure no: si sparò alla tempia alla fine di un concerto. Oppure… Non c’erano filmati, non c’erano fotografie, nessuno sapeva con certezza com’erano andate le cose.

Quarant’anni dopo, alla triste storia di Rodriguez si possono fare alcune importanti rettifiche.

Intanto, la storia del suicidio è un’invenzione. Rodriguez ha continuato a vivere tranquillo – anche se non proprio beato – a Detroit sino ad oggi, suonando qua e là nei locali, prendendo una laurea in filosofia, lavorando come operaio nelle demolizioni: «Ho fatto un po’ di questo e un po’ di quello, sono della working class, e ne sono fiero». Per quanto suoni bizzarro, quelli che hanno giurato di aver assistito alla sua morte sul palco si sono sbagliati. Ma la cosa più sorprendente non è questa. La cosa più sorprendente è che della sua fama in Sudafrica Rodriguez non ha mai saputo niente, nessuno l’ha mai avvisato: nel mondo pre-internet incidenti del genere potevano accadere. Il che spiega perché un’icona pop è finita a fare il demolitore: niente royalties, niente celebrità in patria, niente carriera. Come ha sintetizzato qualcuno: «American Zero, South African Hero». Ma è lo Zero che gli ha segnato la vita.

Ecco però il lieto fine, in due tempi. Primo tempo: nel 1997 due fans sudafricani decidono di scoprire che cos’è successo veramente a Rodriguez, e lanciano in rete la Great Rodriguez Hunt. La figlia di Rodriguez li intercetta per caso: «Davvero state cercando mio padre?». Trovato. Segue il racconto della vita che Rodriguez avrebbe potuto vivere e non ha vissuto («Non ci potevo credere, non potevo credere a niente di quello che mi dicevano»), seguono due gloriose tournées sudafricane nel 1998 e nel 2001. In America, però, continua a essere un fantasma. Ma c’è un secondo tempo. Il regista svedese Malik Bendjelloul decide di realizzare un documentario sulla storia di Rodriguez. Searching for Sugar Man viene presentato al Sundance Festival di quest’anno, vince vari premi, esce nei cinema americani in estate e diventa un caso. Cioè: l’esistenza stessa di Rodriguez diventa un caso, all’incrocio tra la storia edificante (un uomo umile, buono, pieno di talento schiacciato dal Sistema discografico), l’agiografia (il cantante-santo che sopporta con stoicismo le ingiurie del destino) e la favola (perché alla fine, anche se tardi, il bene trionfa). Searching for Sugar Man esce in dvd a novembre, ma sarebbe bello se lo si potesse vedere anche nei cinema italiani, perché è un documentario memorabile: il 95% di gradimento su www.rottentomatoes.com è del tutto meritato.

Questa fama postuma in vita ha finalmente riportato Rodriguez nel circuito dei club e in televisione. Il livello delle esecuzioni dal vivo, a giudicare da quello che si vede in YouTube, è impressionante. Una fra tutte: l’esibizione a The Weekly Comet, chitarra e voce e nient’altro, da un lato lascia a bocca aperta, dall’altro fa riflettere su quello che abbiamo perso perdendo Rodriguez per quarant’anni, cioè per sempre. A metà agosto, Rodriguez è stato ospite del Letterman Show. Ha cantato la sua canzone più bella, Crucify Your Mind, accompagnato stavolta da una sontuosa orchestra di archi e ottoni. Finita la canzone, Letterman si avvicina e gli tende la mano per ringraziarlo. Rodriguez è un po’ spaesato: quarant’anni di demolizioni disabituano alle luci della ribalta. Ringrazia a lungo gli orchestrali, che non sono abituati a tanta gentilezza, si accorge con qualche secondo di ritardo della mano tesa di Letterman. Il gesto di umiltà e di rispetto che fa – tendendo a sua volta impacciato la mano, togliendosi in fretta il cappello – non è di quelli che si possono simulare.

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