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La bolla speculativa delle scienze

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Ho Lasciato i Bell Labs nel 1997 per tornare a lavorare in Italia. I Bell Labs, al 600 di Mountain Avenue nel New Jersey, erano considerati il tempio della scienza. In quei laboratori era stato infatti inventato il transistor, scoperta la radiazione di fondo cosmico. Io stesso avevo lavorato nel gruppo diretto da Horst Stormer, che nel 1998 avrebbe vinto il Nobel per la scoperta dell’effetto Hall quantistico frazionario.

Ma dal 1997 i Bell Labs subirono un drastico ridimensionamento e anche la loro visibilità nel mondo scientifico diminuì significativamente. Un giovane tedesco di appena trent’anni riportò i Bell Labs al centro dell’attenzione all’inizio del duemila, con una serie impressionante di articoli (uno ogni otto giorni, in media), pubblicati su “Nature e Science”, che riportavano le meravigliose inaspettate proprietà di un nuova classe di materiali plastici.

Nei suoi lavori, Hendrich Schon dimostrò che una nuova serie di semiconduttori composti da certi tipi di molecole come il tetracene o il pentacene (ribattezzati semiconduttori organici) poteva funzionare come laser dalle prestazioni incredibili, permetteva di realizzare transistor velocissimi, mostrava comportamento superconduttivo ad alta temperatura e molto altro.

Una rivoluzione.

Il giovane Hendric diventò una star nella comunità scientifica vincendo numerosi premi. Per il Nobel era ormai questione di tempo. A soli trent’anni gli era stata offerta la direzione del Max Planck di Stoccarda, il famoso istituto di ricerca tedesco. Ricordo che la trasmissione Quark gli dedicò un ampio servizio.

Ma era tutto falso. I dati erano stati abilmente inventati come anche le spiegazioni, le intriganti implicazioni fisiche. Tutto taroccato. Alla fine la truffa venne alla luce e Schon fu licenziato dai Bell Labs.

Ma la storia di Hendrich Schon raccontata nel bellissimo libro “Plastic Fantastic” non è che un esempio di un problema sempre più pervasivo nella comunità scientifica. Ne quantifica l’impatto un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Proceedings della National Academy of Science. Lo studio analizza 2047 pubblicazioni in ambito biomedico e scienze della vita che sono state segnalate erronee e conclude che circa 1300 tra queste sono pubblicazioni basate su dati deliberatamente falsificati. Il lavoro stabilisce inoltre che il numero di truffe scientifiche è decuplicato dal 1975.

La motivazione di questo preoccupante fenomeno va ricercata, a mio parere, nel meccanismo perverso che lega le carriere scientifiche degli scienziati con le loro pubblicazioni e con il business delle riviste scientifiche. Il meccanismo è circolare: lo scienziato deve produrre articoli scientifici per avanzare nella carriera. Contano il numero, il prestigio della rivista dove lo scienziato pubblica e il numero di volte in cui l’articolo è citato dai colleghi negli anni successivi (tutti dati che si trovano nei data base su internet e che permettono di calcolare l’h-factor, il parametro che definisce quanto è bravo un ricercatore).

D’altro canto, le riviste incrementano la loro offerta per rispondere a questa esigenza e in questo modo fanno soldi anche perché pubblicare su una rivista costa (per esempio pubblicare un articolo su Science costa 2000 dollari). Da un lato il ricercatore (tramite la sua università) si abbona alla rivista perché è importante poter accedere alle pubblicazioni proprie e dei colleghi, dall’altro usa una  fetta sempre più importante dei finanziamenti che riesce a procurarsi per coprire le spese di pubblicazione e abbonamento togliendola al supporto della sua ricerca.

Per dare l’idea anni fa esisteva la rivista Nature. Oggi esistono più di venti diverse riviste Nature, una per ogni settore delle scienze: da Nature Genetics, a Nature Physics o Nature Materials. Alla fine è un mare di soldi che circola.

Sotto certi aspetti questi meccanismi hanno similarità con quelli che hanno portato alla crisi economica attuale e questo dovrebbe fare riflettere. Assomigliano a una bolla speculativa.

Come se ne esce?

Una possibilità è dare sempre più spazio agli archivi online gratuiti come arXiv.org. Siti nel quali il ricercatore può pubblicare i suoi dati magari accompagnati da una nota di spiegazione.

Perché alla fine quello che conta è che con i dati raccolti si progredisca nel sapere e nelle tecnologie. La carriera del ricercatore dovrebbe essere una conseguenza al margine. Ora è il motore che fa girare la giostra.

Non va bene.

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